Da: www.ilsole24ore.com

 

Più che la crisi mondiale, sulle telecomunicazioni italiane pesa il declino inarrestabile del traffico voce, il ritardo nella banda larga rispetto ai big europei, il difficile equilibrio con i nuovi protagonisti del web che fanno impennare il traffico.
Negli ultimi quattro anni la filiera delle tlc ha perso in ricavi quasi l'8%, circa 4,5 miliardi di euro. È solo uno dei dati contenuti nel rapporto che è stato presentato ieri a Roma in occasione del convegno Asstel "Le telecomunicazioni per l'Italia", seguito del forum nazionale organizzato con i sindacati di categoria lo scorso giugno. Lontana anni luce l'era della new economy, archiviata la fase della crescita sfrenata della telefonia mobile, l'industria delle comunicazioni cerca di ritagliarsi un posto tra le priorità economiche del paese: di qui l'agenda di oggi, dalle regole di sistema all'analisi della domanda alle prospettive per il mercato del lavoro.
Il calo
In Italia, secondo il rapporto realizzato per l'associazione di Confindustria Asstel da Analysys Mason, la crisi internazionale ha solo accentuato una contrazione di natura strutturale. È dal 2006 che il settore ha perso colpi e la tendenza continua, vista la contrazione del mercato anche nell'ultimo semestre di oltre il 2 per cento.
La crescita della banda larga non basta. Sul fisso, è stata più che annullata dalla perdita di 2,6 miliardi dei servizi voce. La compensazione è invece avvenuta per gli operatori mobili, che hanno però dovuto fare i conti con una riduzione di 1,4 miliardi di ricavi all'ingrosso. Le vecchie linee telefoniche sono calate di 5 milioni portando l'Italia al più basso livello di penetrazione del fisso a livello europeo, al 77%.
Anche l'Adsl non ci consente di primeggiare. Tra giugno 2009 e giugno 2010 gli accessi alla banda larga fissa sono aumentati di oltre il 7% ma restiamo all'ultimo posto tra i cinque principali paesi della Ue. L'esplosione di schede e chiavette o smartphone per il collegamento alla banda larga mobile è il fenomeno più evidente degli ultimi anni, eppure non basta a portare il totale - fisso e mobile - in linea con gli altri paesi, perché restiamo comunque in coda con il 67% (accessi per famiglie).
A conti fatti, gli operatori registrano la caduta complessiva dei ricavi e una pressione sui margini inattesa solo fino a pochi anni fa. La reazione è stata un più attento controllo dei costi, mentre sul lato degli investimenti il dato italiano resta nella fascia alta del confronto europeo.
Ancora più vistoso, probabilmente, è l'impatto sui fornitori di apparati e servizi in termini di riduzione del Mol a causa della forte pressione sui prezzi. Le commesse dei grandi operatori sono diventate molto meno generose, anche come conseguenza dell'ingresso di competitor stranieri capaci di proposte commerciali molto aggressive.
Gli attori esterni
Il rapporto di Analysys Mason definisce «attori esterni» i grandi motori di ricerca, i social network, i content provider - Google, Youtube, Facebook ma anche molto altro - che stanno stravolgendo la catena del valore nel settore allargato dei media e delle telecomunicazioni. Fioriscono società concepite nell'era 2.0 che traggono beneficio soprattutto dalla pubblicità online, ma tra queste e gli operatori telefonici resta una cesura profonda. «I gestori telefonici - sottolinea il rapporto - sono stati in gran parte disintermediati dalle nuove fonti di ricavo. I servizi dei nuovi attori hanno stravolto le regole di dimensionamento della rete, facendo aumentare il traffico Ip sulle reti e conseguentemente i costi». Eppure, aggiunge il coordinatore del rapporto, Federico Ciccone, «è un fenomeno che genera anche esternalità positive per gli operatori, perché è ovvio che abbia un ruolo determinante nella crescita della penetrazione della banda larga».
E-gov
Ma forse è un altro il vero avversario delle tlc italiane. La domanda di banda larga ristagna anche per i nostri ritardi nell'alfabetizzazione informatica, con il pc presente solo nel 50% delle famiglie, e per una persistente difficoltà ad adoperare internet nei rapporti con la pubblica amministrazione. Solo il 15% della popolazione usa servizi di e-government rispetto all'obiettivo fissato dall'Agenda digitale europea al 50 per cento. I servizi pubblici effettivamente fruibili su internet, in rapporto a quelli potenzialmente disponibili, sono il 79% rispetto all'82% della Ue a 27 e dell'88% della media dei cinque principali paesi europei

 

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