da www.wired.it

Comitati, linee guida, operatori che fanno la voce grossa e fondi governativi che si snelliscono a vista d'occhio. La questione della banda larga e della modernizzazione delle infrastrutture per garantire un'adeguata e capillare copertura del territorio è tanto cruciale quanto intricata e le parti in gioco faticano a individuare posizioni comuni. Venerdì il tavolo Romani, a cui partecipano tutti gli operatori di tlc, ha fatto un piccolo passo avanti stabilendo che gli operatori condividano e contribuiscano alla realizzazione dell'infrastruttura di base, ovvero la fibra spenta e non ancora collegata alle case dei cittadini, e che decidano che tecnologia utilizzare per gli allacciamenti solo in un secondo momento. L'obiettivo è il raggiungimento del 50% degli utenti domestici italiani con collegamenti a velocità superiore a 100 Megabit entro il 2020, come previsto dall'Agenda Digitale europea. Quello che il tavolo Romani non ha ancora stabilito sono i costi di gestione di questo progetto. Mancanza non da poco, trattandosi dell'oggetto del contendere che ha indotto gli operatori alternativi ad abbandonare il Comitato Ngn, organo consultivo dell'Agcom presieduto dal professor Francesco Vatalaro che avrebbe - secondo Vodafone, Fastweb, Wind, Tiscali e Bt - tracciato delle linee guida per la transizione alla fibra ottica tenendo conto esclusivamente delle richieste di Telecom Italia. Il ruolo del Comitato dell'Agcom è quello di individuare regole e termini entro i quali ex-monopolista, Telecom appunto, e realtà alternative possano e debbano muoversi per realizzare quanto deciso a livello tecnico dal tavolo Romani. La strada per giungere a una stretta di mano definitiva tra le parti è dunque ancora lunga e per farci un'idea di cosa aspettarci nei prossimi mesi abbiamo interrogato il presidente dell'Agcom Corrado Calabrò, fra i tanti aghi di questa bilancia.

Gli operatori alternativi hanno contestato duramente quanto contenuto nel documento preliminare e non vincolante del Comitato Ngn. Quale la sua posizione in merito?
Il tema della regolamentazione delle reti di nuova generazione è un passaggio cruciale, se non epocale, non solo per l'Agcom ma per tutti i regolatori europei. Si tratta, in estrema sintesi, di fissare le regole per una rete (quella in fibra ottica) che non c'è ancora. Processo profondamente diverso - quindi - da quello adottato per la rete in rame, realizzata in un mercato in monopolio, quando - negli anni Novanta - si è avviata la regolamentazione delle telecomunicazioni europee. E, soprattutto, si deve conciliare la tutela della concorrenza con lo stimolo agli investimenti, che saranno ingenti a fronte di incerte prospettive della domanda di nuovi servizi. In tutti i principali paesi comunitari, è in corso un vivace dibattito che coinvolge le Autorità di regolazione e vede - naturalmente - contrapposti gli operatori incumbent e i loro concorrenti. Il tutto, in un quadro che registra la novità dell'intervento diretto degli enti locali e dei governi centrali per lo sviluppo delle reti di nuova generazione in determinate aree. In Italia, la dialettica tra gli operatori, particolarmente aspra, ha condizionato pesantemente i lavori del Comitato Ngn, fino alla conclusione nota dell'abbandono del tavolo da parte di alcuni importanti operatori alternativi. Peraltro, questa decisione è maturata prima che il Prof. Vatalaro presentasse la versione finale delle proposte per una disciplina delle reti Ngn, ossia la versione che terrà conto di tutte le posizioni espresse nel corso dei lavori, che - me lo lasci sottolineare - sono stati comunque produttivi, come dimostrano le quasi mille pagine di contributi: tecnici, economici ed anche indicazioni sulle prospettive regolamentari.

Ciò premesso, l'Autorità seguirà un proprio percorso per affrontare questa cruciale tematica riprendendo fin dai prossimi giorni a dettare la regolamentazione Ngn a integrazione della decisione assunta a fine 2009, che, per inciso, rappresenta uno dei punti più avanzati a livello comunitario. In questo compito, l'Autorità opererà - ovviamente - in piena autonomia, ma tenendo nel massimo conto la Raccomandazione comunitaria in materia (documento che auspica una condivisione dei costi fra operatori alternativi e operatore dominante e suggerisce alle autorità nazionalità di dividere il territorio in aree geografiche più o meno profittevoli, ndr) ed avvalendosi di tutti i contributi, sottolineo tutti, forniti nell'ambito del Comitato Ngn, le cui conclusioni avranno per l'Autorità carattere consultivo. In questo contesto, si affronteranno temi quali le procedure di migrazione dal rame alla fibra, la fissazione delle tariffe sia per le infrastrutture passive che per i servizi Ngn, valutando anche quale risk premium riconoscere agli investimenti, la disciplina del cablaggio degli edifici etc.

Le posizioni inconciliabili di operatori alternativi e Telecom rischiano di contribuire all'acutizzarsi del problema del digital divide. Come si muoverà l'Agcom per scongiurare una frammentazione degli interventi?
Una delle tossine che hanno inquinato il dibattito in seno al Comitato Ngn ha riguardato la scelta della architettura ottimale. Se una GPON (multipunto sostenuta da Telecom, ndr) o una P2P (punto-punto, un cavo per ogni utente auspicato dagli operatori alternativi, ndr). Un approccio più laico, come quello seguito dalla Commissione europea nell'elaborazione della citata Raccomandazione, avrebbe consentito di chiarire che non esiste una soluzione in assoluto migliore, ossia ottimale sempre ed ovunque, ma - a seconda della situazione di mercato e concorrenziale, oltre che della realtà infrastrutturale esistente - vi sarà una soluzione più adatta al contesto. In ogni caso, deve essere chiaro che il Regolatore non può e non deve imporre una scelta architetturale, che è invece nell'autonomia decisionale di ogni operatore. Ed, in effetti, la Commissione europea prevede una regolamentazione 'ben temperata', ossia articolata, così da tenere conto delle diverse soluzioni architetturali.

Una decisione unitaria in questo senso, il tipo di architettura, va ancora presa. Intanto però gli operatori si stanno già muovendo singolarmente.
I piani di Fastweb e di Telecom stanno finalmente facendo capolino. Ma si tratta di piani limitati a zone ristrette di due grandi città, Roma e Milano. E in tutto il resto del Paese? Ci vuole un piano nazionale - come in Francia, come in Gran Bretagna, come in Germania - per portare la fibra ottica a tutto il Paese. Per la sua attuazione è necessario un intervento pubblico, come quello avviato in diversi Paesi comunitari (Francia e Spagna, ad esempio). In tal senso, l'Autorità guarda con interesse e fiducia alle iniziative del Governo italiano per promuovere la collaborazione tra tutti gli operatori per lo sviluppo delle reti Ngn anche in quelle aree (e sono la stragrande maggioranza) dove non sono previsti investimenti né da parte degli operatori, né da parte degli Enti locali.

Gli operatori si sono scagliati anche contro la definizione dei prezzi dei servizi di unbundling, bitstream e WRL, nonostante gli aumenti stabiliti siano inferiori a quanto previsto inizialmente. Cosa risponde?
I valori delle tariffe dell'unbundling (ossia l'utilizzo da parte degli operatori alternativi della rete dell'ex monopolista regolato mediante il pagamento di una sorta di affitto, ndr) e degli altri servizi di accesso all'ingrosso (bitstream e wholesale line rental-WLR) definiti dall'Autorità il 9 settembre derivano dall'applicazione della metodologia richiesta dalla Commissione europea, ossia dall'utilizzo di un modello tecnico economico (ivi inclusa la determinazione del WACC). La decisione ha tenuto nella massima considerazione le osservazioni emerse nel corso della consultazione pubblica che si è svolta nei mesi scorsi. Proprio sulla base delle osservazioni e degli ulteriori dati forniti dagli operatori, l'Autorità è pervenuta ad una riduzione degli incrementi previsti nel documento sottoposto a consultazione, sia per i servizi di unbundling che per il WLR (la gestione del traffico telefonico da parte dell'operatore che non gestisce la linea, ndr), e ha confermato le marcate riduzioni dei servizi bitstream (fornitura da parte dell'operatore dominante della capacità trasmissiva tra la postazione del cliente e un punto di interconnessione di un operatore alternativi, ndr).

Parliamo in soldoni, a quanto ammontano gli aumenti delle tariffe?
Per quanto riguarda in particolare il canone di unbundling, che è oggetto principale delle lamentele, l'incremento proposto per l'anno in corso è di 21 centesimi di euro/mese (da 8,49 euro a 8,70 euro), e peraltro sarà applicato a partire da maggio, dal momento che nei primi quattro mesi dell'anno il prezzo è stato bloccato agli 8,49 euro del 2009. In tal modo, il prezzo medio del 2010 sarà di 8,63 euro/mese. In relazione a tale prezzo, si osserva che: i) è di poco superiore al valore del 2003 (!), quando fu fissato da Agcom a 8,3 euro/mese; ii) determina un incremento dell'1,65% rispetto al 2009; iii) si colloca al di sotto del valore medio degli principali paesi comunitari (9,46 euro/mese). Per quanto riguarda - invece - le previsioni di aumento del canone di unbundling nei due anni successivi (2011-2012), sottolineo che questi incrementi non scattano in modo automatico, ma solo dopo verifica, da parte dell'Autorità, dei miglioramenti conseguiti da Telecom Italia in materia di qualità ed innovazione della rete. Allo scopo, sono stati individuati alcuni indicatori con riferimento ad aspetti cruciali del modello, come le procedure di attivazione dei servizi all'ingrosso e le attività di manutenzione della rete. Il testo è ora all'esame della Commissione europea, che ha 30 giorni di tempo per formulare le proprie valutazioni. A quel punto, l'Autorità avrà tutti gli elementi per la decisione finale. Delibera che, come tutte quelle assunte dall'Agcom, è impugnabile davanti al giudice amministrativo. In ogni caso, l'Autorità provvederà a monitorare la evoluzione dei prezzi finali di tutti gli operatori sul mercato. Anche se l'esperienza del precedente aumento dell'unbundling - che non fece registrare alcun aumento dei prezzi al dettaglio, semmai una riduzione degli stessi insieme ad un aumento della quota di mercato degli operatori alternativi - dovrebbe indurre alla massima cautela nel sostenere che le variazioni di alcuni prezzi all'ingrosso determinino automaticamente un rialzo dei prezzi dei servizi finali.

Restando in tema di denaro sonante, ci spiega quali e quanti investimenti servono per portare il paese a un livello di competitività accettabile per ciò che concerne lo sviluppo della banda larga?
Le stime sull'entità degli investimenti necessari a cablare tutto il Paese sono diverse, arrivando anche a superare i 20 miliardi di euro. In realtà, a noi sembrano più significative le valutazioni espresse nell'ambito del Progetto ISBUL promosso dall'Autorità, che assumono a riferimento un intervento limitato al 50% della popolazione, per un investimento attorno ai 10-12 miliardi di euro.

20 miliardi, 10-12 miliardi. Sembrano cifre mastodontiche, soprattutto in considerazione del fatto che recentemente gli 800 milioni destinati al superamento del digital divide sono stati ridotti a 100 a causa della scarsa disponibilità di fondi pubblici.
E' vero, si tratta di un investimento ingente, ma non certo fuori scala rispetti ad altri interventi infrastrutturali. Il settore autostradale ha in fase di realizzazione un programma di investimenti di oltre 45 miliardi di euro. Sulla rete ferroviaria il valore delle opere già in corso di realizzazione è pari a circa 75 miliardi di euro. Per quanto attiene la rete elettrica il solo Piano Strategico di Terna prevede investimenti complessivi per oltre 3,1 miliardi di euro. L'investimento nella fibra rappresenta dunque una impegno finanziario importante, ma non anomalo rispetto ad altri interventi infrastrutturali in programma.

Questioni economiche a parte, quanto tempo ci vorrà per ottenere risultati rilevanti?
Sia i progetti degli operatori italiani, sia l'Agenda digitale dell'Unione europea distinguono quantomeno due fasi: una prima fase, della durata di 5 anni circa, in cui portare la fibra nelle aree caratterizzate da una elevata domanda (potenziale), seguita da una seconda fase - di durata necessariamente maggiore - in cui si realizzano, con il contributo pubblico, le reti di nuova generazione anche in quei territori a domanda debole e scarsamente remunerativi.

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