Francesco Soro è il nuovo presidente del Coordinamento nazionale dei Corecom e resterà in carica per i prossimi 18 mesi. Fra le principali sfide Soro ha sottolineato la diffusione sul territorio delle infrastrutture tecnologiche, necessarie non solo ad accrescere la competitività delle imprese, e l'accesso a una rete moderna ed efficace.

Come intende sostenere la diffusione dell'accesso ad Internet?

È una partita in cui i Comitati Regionali per le Comunicazioni, in sinergia con Romani e l'Agcom, possono giocare un ruolo chiave. Conoscono più di ogni altro le difficoltà che incontrano i cittadini a connettersi, perché gestiscono le controversie tra utenti e operatori di telecomunicazione. Proprio partendo da questo elemento di conoscenza, potrebbero essere investiti di una funzione di raccordo fra le diverse realtà esistenti nella PA. Sarebbe fondamentale nell'ottica di minimizzare le risorse e massimizzare i risultati e, al tempo stesso, valorizzare le best practices già presenti sul territorio. Penso ad esempio al caso di "Roma Digitale" dell'amministrazione Alemanno o, andando al nord, all'esperienza della Lombardia, che ha già previsto la copertura totale della Regione entro il 2012. È proprio dai territori, infatti, che può partire il processo di consolidamento della democrazia digitale. E i Corecom, naturalmente, potranno assicurare il migliore supporto tecnico, studiando con le Regioni la fattibilità tecnica ed economica di soluzioni ad hoc per zone rurali e aree montane, come potrebbe essere tanto per fare un esempio la banda larga satellitare.

Noi di Media Duemila abbiamo creato un comitato a sostegno della diffusione delle aree Wi-Fi come indice di sviluppo e soprattutto per combattere il digital divide...

Penso che, per essere uno Stato membro del più grande mercato della banda larga al mondo, l'Italia continui ad evidenziare livelli insostenibili di digital divide: i dati dello scorso maggio resi noti dall'Ue indicano che, laddove la metà degli europei utilizzano Internet tutti i giorni, in Italia solo 1 su 5 sfrutta la Rete per lavorare, studiare, aggiornarsi. In altre parole, mentre il resto d'Europa si accinge ad effettuare il sorpasso con gli Stati Uniti, in Italia lottiamo ancora con un problema generazionale e territoriale. Sono infatti note le criticità legate al tasso di natalità e all'elevata età media della nostra popolazione che rendono difficile la diffusione, e ancor più l'appropriazione, delle nuove tecnologie (tutti hanno un computer ed un cellulare, molti addirittura due, ma in pochi sanno cercare lavoro on line, per esempio); e sono altrettanto noti i drammatici differenziali tra Regioni. Il Wi-Fi, su cui é impensabile non scommettere, deve essere parte di questo processo di rinnovamento culturale. Lo dimostra il successo di ogni iniziativa che va in questa direzione. Basti pensare alla straordinaria metamorfosi di Starbucks, che, scommettendo sull'accoppiata divano - Wi-Fi gratis e caffè, è ormai diventato un luogo cult per migliaia di americani, dove ci si ritrova per mangiare, per divertirsi e persino per lavorare. Sullo sfondo resta poi il Wi-Max, fascicolo che non sarebbe sbagliato riprendere in mano al più presto.

Come favorire la diffusione della cultura dell'innovazione nel nostro Paese?

Non essere i primi della classe ci regala un vantaggio: poterci rifare ai modelli di successo. Credo allora che il nostro Paese debba guardare ai nuovi modelli d'innovazione socio-tecnologica proposti dall'imprenditoria americana. Detto di Starbucks, penso anche ad esempi più vicini a noi come The Hub, Kublai e RewiredState che facilitano la creazione di spazi fisici dove gli innovatori sociali - penso ad imprenditori e liberi professionisti, ma soprattutto ai giovani che cercano un posto dove fare massa critica e far crescere le proprie idee - possano accedere a risorse (Wi-Fi, stampanti, scrivanie...) e al tempo stesso sfruttare l'opportunità di stringere relazioni utili. Dal lato PA ci vuole coraggio perché ogni euro investito in innovazione é un euro in meno da spendere per le sacche clientelari ed è, soprattutto, una moneta lanciata nel futuro. Qualcosa però comincia a muoversi. Rimanendo alle iniziative che conosco più da vicino, la Provincia di Roma, con Zingaretti, ha scommesso sull'installazione di una rete pubblica Wi-Fi a fibra ottica sull'intero territorio della Capitale, creando peraltro sinergie con l'Unione degli Industriali e delle imprese di Roma per privilegiare le zone di interesse produttivo.

Transizione al digitale terrestre, diffusione sul territorio di infrastrutture tecnologiche, banda larga come servizio universale o perdiamo il treno dell'innovazione. A che punto siamo in Italia?

Pur tenendo in considerazione gli effetti della crisi, l'Italia, nel confronto con gli altri Paesi dell'Europa a 27, risulta essere in ritardo su alcuni fronti chiave per la competitività, a parità di contesto economico globale. Io penso che in questo clima di difficoltà e arretratezza ognuno debba apportare il proprio contributo, compresi - anzi soprattutto - i territori e gli enti locali. In questo credo che il ruolo dei Corecom, facendo leva proprio sulla loro prossimità alle constituency, possa contribuire a far fronte all'immobilismo di cui è rimasto vittima il nostro Paese. Per fare un esempio pratico, abbiamo il dovere di aiutare gli addetti del settore radiotelevisivo a rilanciare le realtà dell'emittenza locale e, al tempo stesso, a proiettarsi verso il futuro - il che non può in alcuna maniera prescindere dall'adozione delle tecnologie di ultima generazione. Dobbiamo lavorare a fondo per ampliare la percentuale di connessioni che superano 10Mbps, che oggi è attestata al 18%. 10Mbps sono sufficienti per utilizzare un'applicazione Web, ma ne servono almeno 30 per usufruire di servizi Tv on demand.

intervista di Erminio Cipriano

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