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L'intesa per la realizzazione dell'NGN italiana sembra ancora molto lontana, almeno stando alle dichiarazioni rilasciate dall'amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, a margine dell'incontro con il Commissario Ue per l'agenda digitale Neelie Kroes alla quale è stato presentato il piano del gruppo per la fibra ottica. Affermazioni che però non collimano con quanto dichiarato subito dopo dal sottosegretario Paolo Romani, secondo il quale l'accordo potrebbe giungere subito dopo l'estate. Al momento "...c'è una bozza che sta circolando, un documento su cui ognuno sta esprimendo le proprie valutazioni", ha affermato Romani, sottolineando tuttavia che, anche se il tavolo tecnico sta dando "buoni risultati", ci sono in effetti, "...alcuni punti di dissintonia" tra le istanze dell'operatore dominante e quelle dei competitor. "Tuttavia - ha aggiunto - Bernabè ha riconosciuto l'importante ruolo del governo, e rispetto al punto di partenza abbiamo fatto molti passi avanti". Se non a fine luglio, dunque, l'intesa, secondo Romani, arriverà al più tardi a settembre.
Davanti alla Kroes, ricordando l'importanza della salvaguardia delle dimensioni "regionali" degli investimenti, Bernabè ha invece sottolineato che il piano di investimenti di Telecom Italia permetterà di "rispettare gli ambiziosi obiettivi dell'Agenda digitale" e ha quindi ricordato che la possibilità di accordi con gli altri operatori verrà valutata anche sulla base delle condizioni dettate dal regolatore, delle iniziative degli altri operatori e degli strumenti che lo Stato deciderà di mettere sul tavolo per incentivare gli investimenti. Nelle sue aperture a sottoscrivere accordi con altri operatori, Bernabè si è sempre definito disponibile a trattare per la copertura di città di piccole o medie dimensioni, lasciando cadere, come anche stavolta, l'invito dell'Agcom di convergere con gli altri operatori su un progetto unitario, per evitare uno spezzatino di reti che poco potrebbe fare per il sistema Paese, lasciando le aree a scarso rendimento prive di fibra ottica. Il perno della questione sono le città più popolose e redditizie, come Roma e Milano, alle quali gli operatori alternativi vorrebbero estendere la condivisione delle infrastrutture, scontrandosi invece col secco diniego dell'azienda. Come già fatto in diverse occasioni, Bernabè ha ribadito, insomma, che la società è disponibile a trovare "forme di collaborazione anche societarie con altri partner per la realizzazione delle infrastrutture in quelle aree dove non può esserci più di un operatore". Ma questo approccio, ha aggiunto, è valido solo per alcune zone, non può esserlo invece "...nelle grandi città, dove si è già in presenza di più infrastrutture". In base al piano presentato alla Kroes, Telecom Italia prevede fra il 2010 e il 2012 un investimento di oltre 9 miliardi di euro in Italia dei quali 7 nelle infrastrutture di rete e 2,7 miliardi nel settore dell'accesso. Investimenti, in linea con gli obiettivi Ue, che serviranno a migliorare la qualità della rete, modernizzando l'accesso a larga banda e assicurando un graduale sviluppo della fibra ottica, con la previsione di raggiungere il 50% della popolazione italiana entro il 2018. La fibra ottica partirà, quindi, da 13 città, che saranno coperte entro il 2012 e sarà poi estesa nella seconda fase (2013-2018) in altre 125 città, 51 entro il 2015 e le restanti 74 entro il 2018. Le parti sociali hanno tuttavia criticato la troppa attenzione del Governo alla gestione della Rete, piuttosto che alle ricadute del piano industriale Telecom sull'occupazione: Il sindacato, dicono, "...non può permettere al Governo di inserirsi in una partita così complessa dove gli obiettivi sono diametralmente opposti". La politica, insomma, dovrebbe concentrarsi sulle "garanzie sociali a sostegno dell'occupazione", e Telecom su un "piano industriale di sviluppo che riduca gli esuberi, il mantenimento del perimetro delle attività, ricollocazione dei lavoratori in contratto di solidarietà e internalizzazione delle attività". I tagli occupazionali hanno investito anche i lavoratori di BT Italia, anch'essi in stato di agitazione. Nel piano industriale 2010-2013, la società prevede una riduzione del personale diretto di 120 dipendenti in aggiunta ai 100 già previsti, per rispondere - ha spiegato l'ad Corrado Sciolla - alla mancata ripresa del mercato delle comunicazioni per le imprese, che ha costretto la società "ad agire in maniera decisa su tutte le leve dei costi". Sciolla ha smentito eventuali dismissioni in Italia, che "comunque continua ad essere un mercato importante per BT", che prevede, anzi, nuovi investimenti "nelle aree commerciali e in quelle delle consulenza". I sindacati paventano invece un progressivo smantellamento della società e lo spostamento delle attività in paesi meno onerosi e sottolineano che la casa madre britannica ha invece riconosciuto ai lavoratori "un aumento salariale del 3% annuo" alla sola minaccia di sciopero, chiedendo un incontro alle istituzioni locali e nazionali per "...ottenere il giusto riconoscimento di chi continua a sperare che il proprio lavoro esista e resista".

Di Alessandra Talarico


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