La riforma Agcom del canone frequenze nel mirino di governo e parlamento. Si punta a trovare la quadra di un provvedimento bersaglio di polemiche e a scongiurare perdite per le casse dello Stato oltre a un "no stop" della procedura d'infrazione Ue. Venerdì scorso l'intervento del sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli che non ha escluso "il ricorso a interventi legislativi" nel caso il nuovo regolamento venga approvato. Cosa che, in effetti, Agcom si prepara a fare: il voto è previsto per domani, martedì 30 settembre, e al momento non sono presi in considerazione rinvii. L'obiettivo comune all'orizzonte potrebbe essere un provvedimento da applicare già nel 2014 ma aggiornabile dal 2015 sulla base di mutate e esigenze.
Le nuove norme a cui ha lavorato Agcom prevedono un totale cambio di rotta nel sistema di pagamento del canone dovuto dalle aziende Tv allo Stato: il baricentro si sposta dal fatturato (le società Tv "analogiche" pagavano l'1% del fatturato allo Stato) al valore delle frequenze possedute. Quindi dalle imprese editoriali a quelle tecnologiche (gli operatori di rete) che detengono i diritti d'uso delle frequenze. Un cambio di sistema dovuto al passaggio tecnologico dall'analogico al digitale che però lascia molti punti interrogativi. Si può evitare una diminuzione di risorse per lo Stato? Su che base viene misurato il valore delle frequenze?
Intanto è stata messa in stand by la risposta all'audizione richiesta ad Agcom dal presidente della Commissione trasporti e Tlc alla Camera Michele Meta. Il tema, dice Meta, è anche sul tavolo del ministero dell'Economia che starebbe studiando gli eventuali mancati introiti per lo Stato dovuti alla nuova normativa. Secondo le stime riportate ieri dalla Repubblica nel 2014, con il nuovo meccanismo, l'erario si ritroverebbe in cassa 39,52 milioni in meno rispetto al 2013 mentre nei primi 4 anni dall'entrata in vigore del nuovo regolamento, l'ammanco per lo Stato salirebbe a 104,8 milioni.
I criteri delle nuove regole, aveva detto Agcom, "sono stati individuati a conclusione di un lungo e accurato lavoro istruttorio, sulla base di una proposta del relatore Francesco Posteraro, che ha tra l'altro tenuto nel massimo conto - in applicazione del dovere di leale cooperazione di cui all'articolo 4(3) del Trattato sull'Unione Europea - le osservazioni formulate nei giorni scorsi dalla Commissione europea. L'Autorità ha così dato applicazione al vigente quadro normativo, frutto del combinato disposto dell'articolo 3-quinquies, comma 4, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) e dall'art. 35 del Codice delle comunicazioni elettroniche. Norme in virtù delle quali il contributo grava oggi sugli operatori di rete, e non più sulle emittenti, come avveniva nel passato". (R.C.)
(Corriere delle comunicazioni ©RIPRODUZIONE RISERVATA 26 Settembre 2014)

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