Da www.ilsole24ore.com
Manca solo il reality delle startup, trasmesso sulle televisionali nazionali, con tanto di giovane bello e intraprendente che raccoglie fondi e consenso leggendo il proprio business plan. Gli startuppers indiscutibilmente oggi piacciono. Di colpo l'opinione pubblica sembra essersi innamorata dell'idea che giovani e talentuosi al posto del posto fisso preferiscono il brivido del rischio d'impresa. Certo, se li contendono in molti: concorsi, competizioni, premi regionali, nazionali, internazionali, accedemici o non, promossi da privati o da fondazioni, acceleratori, parchi tecnologici e incubatori. Anche Corrado Passera pare volere un portale dedicato alle Startup. E gli startuppers da lui (e dal governo) vorrebbero sgravi fiscali e Iva agevolata per "combattere alla pari" con gli altri paesi. Su Facebook, dentro Italian startup scene quasi 5mila persone si incontrano, discutono e producono idee. Tonnellate di idee. Il network PNICube ha calcolato che nel 2010, le 16 Start Cup locali aderenti al Premio nazionale per l'Innovazione hanno generato complessivamente 786 idee di business. L'anno dopo al progetto progetto Working Capital-PNI che ha visto la partecipazione di 17 Start Cup locali organizzate da 47 università e sei enti pubblici di ricerca sono arrivate in tutto 1.232 idee d'impresa, poco meno del doppio. Come dire, la voglia di intraprendere c'è ma soldi per dare forma alle startup?«Il mercato della raccolta che in generale è già difficile per i venture è difficilissimo - spiega Anna Gervasoni, direttore di Aifi, l'associazione del private equity -. Solo 80 milioni di euro l'anno scorso (-8,5% rispetto al 2010) per le imprese innovative. I fondi hi-tech per il Sud hanno dato una mano, oggi il fondo italiano ha messo 50 milioni di euro sul piatto ma se vogliamo far crescere l'ecosistema delle startup servono almeno 100-200 milioni di euro in più. E non possiamo chiederli tutti al pubblico». Insomma, l'abolizione delle tasse sul capital gain per chi investe in fondi è cosa buona e giusta ma «serivrebbe applicarla a tutti gli operatori e non solo alle Sgr». Più amaro il capitolo legato alle exit, ovvero ai casi di venuture che esce con profitto dall'investimento. Confindustria digitale ha proposto al governo, tra le altre cose, la creazione di un "exit market" con sgravi fiscali per le aziende italiane che decidessero di acquisire startup locali inizialmente finanziate da fondi di venture capital o che abbiano "sponsorizzato" la nascita di incubatori o piattaforme di aggregazione di idee. Certo, servirebbe almeno a livello psicologico una "exit" chiassosa, dai grandi numeri, per far crescere la fiducia e rilanciare il mercato, sostengono gli addetti ai lavori.«Il mercato del venture è ripartito da un paio di anni - avverte Gervasoni - ce ne vogliono almeno altri tre o quattro per capire se è convenuto investire in startup». Ancora vive sul listino della Borsa italiana compaiono almeno sette aziende nate con il venture capital, mentre dal 2009 al 2011 le operazioni di disinvestimento sono almeno una quarantina». Come dire, qualche esempio c'è, ma appartiene alla leggenda. Statistiche precise non ce ne sono, anche perché tra exit mascherate, dismissioni e avvicendamenti è complicato capire chi davvero abbia guadagnato.
«Se mi guardo indietro non credo di aver perso opportunità di investimento in questi ultimi anni» dice Riccardo Donandon, creatore dell'incubatore H-Farm. Lui di exit ne ha all'attivo sei tra cui H-Art, venduta a Wpp per 5 milioni di euro dopo un investimento di appena qualche centinaio di migliaia di euro. Eppure, la sensazione è che dietro l'inflazione da startup non ci sia solo marketing. «Un ecosistema di imprese innovative digitali è possibile - afferma Nicola Mattina che da anni segue il mondo degli startuppari - Molti giovani sanno che cercare un lavoro è un'impresa. Tutto sommato meglio provare per qualche anno ad avviare la propria azienda piuttosto che passare di stage in stage. Il digitale inoltre ha basse barriere di ingresso, servono poche decine di migliaia di euro per partire. E poi in questi anni acceleratori, piccoli fondi che fanno microseed e le stesse competizioni hanno preparato il terreno». Due terzi dei business plan che arrivano sui tavoli di venture capital, fondi e competizioni sono progetti di startup digitali. Pochi, pochissimi raccolgono abbastanza soldi per competere con la Silicon Valley e confrontarsi su mercati globali. «Ci sono però segnali che qualche azienda di grandi dimensioni possa decidere di investire seriamente nel capitale di rischio». Startup per modernizzare l'impresa che magari fatica a fare ricerca da sola. O solo come parco dove torvare cervelli migliori. In America, dove hanno una parola per tutto e si sono inventati acqhire (acquisition + hire), operazioni che prevedono l'acquisizione di una società esclusivamente per far salire a bordo il team di fondatori. Potrebbe essere una idea.

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