Da http://espresso.repubblica.it/
Una ricerca inglese ha paragonato il nostro rapporto con la tecnologia al vizio del fumo: sta diventando una nuova forma di dipendenza.
Certo, spesso al ristorante o mentre siamo con gli amici, prendiamo il nostro telefono, il palmare o tablet e ci isoliamo per un attimo dal contesto.
Così il paragone può sembrare calzante. E può ricordarci il gesto di abbandonare la compagnia per andare a fumare.
Ma la narrazione di queste piccole attività oramai consuete forse non merita di essere costruita con le caratteristiche dell'addiction, del vizio di cui siamo schiavi.
Noi non abbiamo un rapporto diretto con lo schermo, o con il prezzo di tecnologia che teniamo in mano. Piuttosto, abbiamo un rapporto con il mondo che quell'aggeggio ci apre. Senza l'accesso a "quanto conosce il Web" siamo meno intelligenti, senza quei dispositivi - piccoli e grandi - non abbiamo accesso a parti importanti della nostra vita.
Pensiamo alla posizione di lavoro che passa per il mondo immateriale del network. O ai mille modi nuovi che possiamo dei network. O ai mille modi nuovi che abbiamo per restare in contatto con gli amici (o per conoscerne di nuovi). La tecnologia ci consente facilmente di impostare un interruttore su "on" come su "off". Se centinaia di milioni di persone decidono di utilizzarla, probabilmente non è perché ci sia una qualche forma di mistica dipendenza di massa. E' più facile che la spinta venga da un sistema di gratificazioni (culturali, sociali, professionali) che, alla fine, diventano una componente importante della nostra vita. D'altro canto ogni nuova tecnologia ha sempre portato con sé l'accusa di dipendenza. Raccontava McLuhan di un nobile inglese che, nell'Inghilterra della tradizione orale, aveva dedicato molti anni della sua vita a scrivere un trattato. E i suoi colleghi nobili, lontani dal capire l'importanza della stampa, lo prendevano in giro perché perdeva tempo a scrivere un libro.