Da: www.next-tv.it

A quanto pare, Ridley Scott non è l'unico interprete del cinema crowdsourced, quello affidato alla partecipazione spontanea di migliaia di internauti-registi.
Certamente il suo Life in a Day - il documentario realizzato insieme al regista Kevin MacDonald, montando insieme in un film di 94 minuti le riprese autobiografiche effettuate il 24 Luglio 2010 da 80.000 utenti di YouTube - ha il merito di aver scatenato la stampa mondiale sin dal giorno della premiere al Sundance Festival 2011 e della successiva proiezione alla Berlinale.

Con un debutto in diretta streaming universale, sperimentale e innovativo quanto il progetto stesso, la pellicola prodotta da Scott ha aperto gli occhi di tutti sulle potenzialità del crowdsourcing in formato 35 millimetri. E ne ha ricevuto in cambio tanto gli applausi della critica quanto le gioie di una distribuzione "fisica" nelle sale americane, nel circuito affiliato alla National Geographic Films.
Life in a Day è un modello di ispirazione. Ha saputo unire filmmaker professionisti e semplici appassionati di ogni nazione e cultura attraverso gli strumenti dei social media, mostrando differenze e similarità della vita quotidiana nel pianeta. Ma non è il solo film nel suo genere, e incredibilmente non detiene neppure il primato temporale. È stato infatti preceduto, di ben due anni, da One Day on Earth, le cui origini concettuali risalgono al 2008.

Anche One Day On Earth è un documentario, utilizza le tecniche del crowdsourcing, e l'idea alla base è di coinvolgere cineamatori ai quattro angoli del globo. Le affinità con Life in a Day non sono dunque soltanto nel titolo.
Anche per One Day on Earth è stato chiesto ai navigatori di girare e inviare un video-racconto del proprio vissuto in un determinato giorno (in questo caso il 10 Ottobre 2010, ovvero 10.10.10). Al momento sono state ricevute 3.000 ore di filmati, contro le 4.500 di Life in a Day. Tuttavia, come hanno sottolineato ai reporter di Reuters i due autori di One Day on Earth, Kyle Ruddick e Brandon Litman, obiettivi, protagonisti e contenuti delle due opere sono profondamente diversi. C'è spazio, e anzi c'è necessità di entrambe nel cinema contemporaneo.

Se Life in a Day è in ultima analisi un prodotto hollywoodiano con il sostegno di Google, One Day on Earth è il frutto della collaborazione di 60 organizzazioni no-profit, tra cui le Nazioni Unite, la Croce Rossa e l'Oxford Committe for Famine Relief (OxFam).
L'esperienza sul campo dell'intero staff forse non equivale a un centesimo di quella del solo Ridley Scott. Non a caso, il progetto è ancora incompleto. La raccolta fondi tramite donazioni anonime è in corso e l'ipotesi di una release entro il 2011 rimane più un auspicio che una data fissata nella pietra, per rubare una frase cara alle major.

Le ambizioni di One Day on Earth sono però altrettanto alte di quelle del suo "parente famoso". Si punta ad aggregare materiale da ogni singolo Paese della Terra, un record che neanche Life in a Day può vantare. L'archivio video sarà peraltro messo a disposizione gratuita di chiunque intendesse proseguire in futuro con iniziative analoghe.
Ma soprattutto si punta a lanciare un forte messaggio di pace e di responsabilità ambientale. All'enfasi sulla ricerca estetica che emerge dalla magistrale prova di social cinema di Ridley Scott viene contrapposto un marcato accento sulla call-to-action: sensibilizzare gli spettatori a muoversi e agire. Un film, quindi, con una sua voce unica e inconfondibile.
Del resto, la Settima Arte ci ha abituato ad apprezzare differenti letture dello stesso concept. Se in passato nello stesso anno abbiamo avuto Antz e Bug's Life, Dante's Peak e Volcano, Deep Impact e Armageddon, a buon diritto possiamo sostenere contemporaneamente sia Life in a Day che One Day on Earth. E se possibile, auspicare che sulla spinta del loro successo il cinema dedichi sempre maggiore attenzione all'interazione con la galassia dei contenuti user-generati.

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